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Genova,
Palazzo Ducale
L'età di Rubens
Dimore, commettenti e collezionisti genovesi
20 Marzo – 11 Luglio 2004
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Pietro
Paolo Rubens
Giunone e Argo
Colonia, Wallraf-Richartz-Museum |
«Con ‘‘L’Età di Rubens’’ si completa un ciclo
che parte da lontano, dalla mostra di Van Dyck (…), un ciclo che si è assunto il compito impegnativo
di dare risalto, attraverso le opere d’arte, a una lunga e intensa pagina della storia di Genova.
(…) Ferdinand Braudel parlò di ‘‘un secolo
dei genovesi’’e definì Genova ‘‘la più grande avventura umana
del secolo XVI’’.
La mostra ‘‘L’Età di Rubens’’ è il risvolto artistico
e collezionistico di quella grande avventura.»
(Arnaldo
Bagnasco,
Presidente di Palazzo Ducale spa)
Nel 1684, dal mare dinanzi a Genova, la flotta navale francese bombardò lungamente la città, distruggendo storici palazzi assieme a molte delle opere d’arte che contenevano. Per salvare il salvabile, il Doge si recò a Versailles, dove fece un formale atto di sottomissione al re Luigi XIV. Con quell’atto, che segnò la fine dell’indipendenza della Repubblica di Genova, si concluse un’epoca gloriosa iniziata cinque secoli prima.
Prima del collasso finale, benché fosse già entrata in una profonda crisi politica, Genova era un centro economico e culturale d’importanza internazionale. In quell’epoca di grande prosperità i patrizi genovesi (banchieri, finanzieri e mercanti) fecero a gara nell’abbellire le loro dimore con dipinti, arazzi, argenti, arredi lignei e tessili. Era un fatto di prestigio, certamente, ma anche una fonte di guadagno, in virtù della crescente moda del collezionismo che da tempo, in ogni parte del continente, coinvolgeva anche nobili ed ecclesiastici.
Senonché, mentre altrove le scelte erano quasi imposte dai gusti del principe o del sovrano di turno, a Genova non si affermò un gusto particolare. La mentalità mercantile di quella città, aperta alle culture delle più diverse aree geografiche, determinò un’eccezionale varietà di scelte legate sia al luogo in cui il collezionista svolgeva i propri affari, sia alle aspettative economiche del collezionista stesso. Così, visto il costo crescente delle opere d’arte dei secoli precedenti, i facoltosi patrizi genovesi rivolsero la loro attenzione ad artisti viventi di chiara fama.
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Caravaggio
Giuditta e Oloferne
Roma, Palazzo Barberini |
In tal modo Genova diventò un centro artistico internazionale dove si trovarono ad operare, quasi contemporaneamente, i fiamminghi Rubens, Van Dyck, Floris, Roos e Sustermans, il francese Vouet, il milanese (d’adozione) Procaccini, il “romano” Orazio Gentileschi. Nelle splendide dimore dell’aristocrazia spiccavano, al tempo stesso, opere di Maestri riconosciuti come i lombardi Caravaggio e Morazzone, i bolognesi Carracci, Reni e Guercino, i veneti Tiziano, Tintoretto e Veronese, il “napoletano” Ribera. Queste molteplici, mirabili fonti, ispirarono numerosi artisti locali, come Assereto, Strozzi e Grechetto, per citare solo i più noti, egualmente stimati dai mercanti-collezionisti genovesi.
A quella straordinaria pagina della cultura europea è dedicata la mostra “L’Età di Rubens. Dimore, committenti e collezionisti
genovesi”. Una mostra inaugurata, e non è un caso, proprio nell’anno in cui Genova è stata insignita del titolo di Città Europea della Cultura, esattamente 400 anni dopo il primo soggiorno di Rubens in questa città, alla quale diede molto e dalla quale tanto ricevette.
Nell’intento di ricostruire in modo sufficientemente chiaro lo spirito del collezionismo genovese seicentesco, i curatori dell’esposizione hanno scelto non solo dipinti, che comunque sono l’elemento più significativo, ma anche arazzi e argenti.
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Argentiere
fiammingo, bacile e brocca
Oxford, The Ashmolean Museum |
A Palazzo Ducale sono state allestite dieci quadrerie significative, ricostruite sulla base degli inventari seicenteschi. In tal modo ci si può rendere conto dell’impatto emotivo che decine di quadri appesi alle pareti, dal pavimento al soffitto, potevano suscitare. È un’immagine che ci lascia davvero affascinati, stupiti, quasi storditi, per via delle differenze tematiche, stilistiche e cromatiche che rimbalzano da una parete all’altra, legate dal filo conduttore dell’appartenenza a un solo proprietario, prima che le disgrazie economiche familiari disperdessero quelle mirabili opere in altre collezioni, pubbliche e private.
La mostra si articola in dodici sezioni. La prima, “Rubens a Genova”, introduce ai soggiorni genovesi del grande artista fiammingo. La seconda sezione “I Balbi. 1° ramo”, raccoglie opere di quella che un tempo fu la collezione di Gerolamo e Gio. Agostino Balbi. Si tratta di una delle più strepitose collezioni fiamminghe di fine ‘500 (basti ricordare i nomi di Frans Floris, Pieter Aertsen, Joachim Beuckelaer, Frans Francken II, Jan Massys).
La terza sezione, “Gio.Carlo Doria e Marcantonio Doria”, riunisce venti dipinti di grandi dimensioni, tra cui Rubens, con
Gio. Carlo Doria a cavallo e l’altrettanto celebre Ritratto di Beatrice Spinola Doria (prestata dalla National Gallery di Washington D.C.). Inoltre, Simon Vouet, Bernardo Strozzi, Giulio Cesare Procaccini, Tiziano (con la famosa
Danae prestata dall’Ermitage), Caravaggio (Il martirio di
sant’Orsola), Jusepe Ribera.
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Giulio
Cesare Procaccini
Cristo morto e la Maddalena
Genova, chiesa di Nostra Signora della Neve |
Dopo la quarta sezione, dedicata ad argenti e arazzi, si passa alla quinta e alla sesta, “I Raggi” e “Pietro Maria Gentile”. Sono splendide le opere del Veronese, di Reni, Rubens, Van Dyck, Roos, Guercino, Orazio e Artemisia Gentileschi, ma desta stupore, forse perché poco noto, lo splendido
Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre di Procaccini.
Nella settima sezione, “Gio. Vincenzo imperiale”, si possono ammirare tra gli altri, un dolcissimo
San Sebastiano di Guido Reni, la Morte di Adone di Rubens,
Venere e Adone di Tiziano (dal J.P. Getty Museum di Los Angeles).
Nell’ottava sezione, “I Balbi. 2° ramo, cugini”, lasciano a bocca aperta il fantastico
Giunone e Argo di Rubens, una tela di 2,5 per 3 metri (da Colonia, Wallraf-Richartz Museum), e
Susanna e i vecchioni del Veronese.
Ancor più stupefacente è il contenuto della nona sezione, “Genovesi fuori Genova”. Che dire di
Giuditta e Oloferne del Caravaggio (da Roma, Palazzo Barberini),
Venere, Adone e Cupido di Annibale Carracci (dal Prado di Madrid),
Apollo e Marsia di Jusepe de Ribera (Napoli, Capodimonte),
La Fortuna di Guido Reni (Pinacoteca Vaticana)? In quelle stanze si rimane letteralmente senza fiato!
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Jesepe
de Ribera
Apollo scortica Marsia
Napoli, Museo di Capodimon |
Lascio da parte il contenuto delle ultime due sezioni, anch’esse di altissimo livello, per complimentarmi con gli autori del bellissimo catalogo (Skira Editore) a cura di Piero Boccardo: 590 pagine dense di testi preziosissimi e immagini ben stampate. Un apprezzamento va all’organizzazione della mostra, ineccepibile in tutti i dettagli.
Colgo infine l’occasione per raccomandare al lettore di non perdere gli altri appuntamenti genovesi, non meno importanti della mostra di Palazzo Ducale. Non si può assolutamente tralasciare una visita almeno a Palazzo Spinola, Palazzo Rosso, Palazzo Bianco e Palazzo Tursi, riuniti in un unico e coerente percorso espositivo. Anche lì si troveranno opere di stupefacente bellezza, ma soprattutto sarà pobbile ammirare le più importanti dimore patrizie genovesi, riportate alla loro antica magnificenza.
Giordano Berti
INFORMAZIONI
Ufficio stampa Palazzo Ducale
Florence Reimann
Tel. 010.5574047
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